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Eolo
stelle lontane
il coraggio dell'educazione-Il futuro dei Servizi educativi/il convegno al Testoni di Bologna
Lo "sguardo" molto personale di Cira Santoro sul convegno che ha concluso a Bologna il Festival della Baracca

Oggi chi si occupa di educazione deve avere tanto coraggio. 

Queste le prime parole che mi sono appuntata sul mio moleskine nel corso del convegno Il Coraggio dell’educazione – il futuro dei servizi educativi, che ha chiuso il Festival Internazionale di teatro e cultura per la prima Infanzia organizzato da La Baracca/Testoni Ragazzi, Visioni di Futuro, Visioni di Teatro. 

Ci sono andata perché pensavo che insieme ai pedagogisti avrebbe parlato il mondo del Teatro Ragazzi posto di fronte alle nuove sfide educative e invece, con mia grande sorpresa, ho assistito a un convegno in cui la parola teatro è stata pronunciata pochissimo e sempre incidentalmente.  Seduti al tavolo dei relatori Roberto Farnè, professore del Dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell’Università di Bologna, Marco Dallari, docente di Pedagogia di Scienze Cognitive dell’Università di Trento, Michel Newman, professore della Summerhill School di Suffolk (UK), Fausta Sabatano, ricercatrice dell’Università Parthenope e Vicedirettore del Centro Educativo Diocesano di Pozzuoli(NA), Carme Sala Sureda, professoressa del Departemento de Pedagogia  Aplicada  de la Universitat Autonoma de Barcelona (Spagna)  Un tavolo internazionale in cui la domanda iniziale era “cosa vuol dire avere coraggio nei contesti educativi?”  

La discussione è stata viva e interessante, anche per i pochi teatranti in sala. Alla domanda iniziale è stata data risposta attraverso il racconto di esperienze legate al recupero di minori a rischio, come quella di Barcellona e Napoli e della Summerhill School, in cui i bambini possono parlare e condividere le proprie opinioni con gli adulti da pari a pari.  Il Teatro Ragazzi conosce bene questo tipo di esperienze, le incrocia e a volte le promuove direttamente ma da tempo, almeno credo, non si riunisce intorno a un grande tavolo nazionale per cominciare a interrogarsi in maniera permanente sui perché, sui come e sulle possibili trasformazioni della propria missione, tornando a ragionare su funzioni, metodologie e destinatari. Roberto Farnè, nella presentazione del convegno, parlando della trasformazione della scuola e dei cambiamenti che coinvolgono bambini e adulti, dice che oggi più che mai serve “un’educazione fatta di corpo a corpo, di parole e di emozioni che si scambiano, di esperienze e conoscenze che si trasmettono in presa diretta nel piacere della scoperta, di educazione fatta di realtà reale e non virtuale”. Non sembra voler dire che ancora oggi e forse più che mai, nella scuola e nel mondo dell’educazione c’è tanto bisogno di Teatro?

         

Per questo, ascoltando i racconti dei convegnisti ho cominciato a fare un gioco: alla parola educatori sostituivo la parola teatranti, alla parola scuola o centro educativo compagnia, alla parola allievi, spettatori. I discorsi filavano uguale e in alcuni casi sembrava addirittura che fossero stati costruiti proprio sul teatro.  Ho quindi continuato a immaginare che il titolo del convegno fosse: Il Coraggio della visione– il futuro del Teatro Ragazzi e che la domanda iniziale fosse: cosa vuol dire avere coraggio nel Teatro Ragazzi?   A questo punto, il report che consegno a Eolo, non può che essere un mix tra ciò che è stato detto realmente e la mia fantasia, che si è costruita il suo convegno sul Teatro Ragazzi in cui due studiosi sono finalmente riusciti ad impostare correttamente il problema e a tirarne le somme.  


Il professor F., in apertura, dice che chi si occupa di teatro ragazzi oggi deve avere tanto coraggio, considerando il disagio sempre più profondo che si vive nei teatri, che hanno sempre meno risorse e che devono rispondere sempre più a logiche aziendalistiche. Gli attori poi, devono fare i conti con un pubblico sempre più omologato a un pensiero televisivo, con le produzioni commerciali e con la stanchezza sul piano delle sperimentazioni. Sta venendo sempre meno il senso dell’avventura teatrale che, per essere vera, ha bisogno appunto, di coraggio. “Ma, chiede F. ai suoi colleghi, come si impara ad avere coraggio?


C. che viene dalla Spagna, dice che nella sua città i teatranti si sono uniti in una rete solidale contro la crisi e, oltre a fare collette per pagare i debiti di chi non ce la fa ad andare avanti, prova a ricostruire attività artigianali, scambia saperi e competenze e non avendo denaro usa il tempo come valore di scambio. I teatranti hanno trasformato una specie di dopo-scuola popolare in un centro giovanile in cui gli adolescenti, con problemi e non, possono fare teatro, possono creare una band e possono discutere di arte ed estetica. Gli artisti e i teatranti, hanno deciso di rimettere in circolo i pensieri partendo dal basso, anzi, dai più giovani. In questo centro, gli adolescenti hanno il compito di insegnare le stesse cose ai bambini più piccoli e così, grazie ai teatranti si sta creando una comunità coraggiosa che resiste alla crisi in nome della solidarietà e dell’estetica. 


La professoressa F invece, dice che nella sua esperienza il vero problema sono i comportamenti degli adulti che condizionano i piccoli. Come si fa ad opporsi alla crescita di “piccoli soldati” del pensiero unico? Il teatro in questo senso agisce come luogo della simulazione, trasforma, metaforizza e mette al centro il conflitto, inteso come gioco drammatico necessario, come terreno di scontro, come luogo di espressione e rappresentazione delle proprie ragioni. Il teatro diventa il luogo in cui si perdono le proprie idee per accogliere quelle dell’altro, il luogo in cui si agisce autonomamente e si educa al coraggio, in cui si esercita pensiero critico e non chiacchiericcio. 


Il professor N. a questo punto si alza e dice che c’è un grande elefante nella stanza. In questa metafora lui ci vede l’infanzia degli adulti seduti lì ad ascoltarlo e i diritti del bambino. Per la verità il senso della metafora mi è un po’ sfuggito. Forse ero distratta. In ogni caso, ogni volta che diceva qui c’è un elefante, camminava con passi pesanti e decisi in cerchio e dondolava la testa guardando in basso, come se avesse una proboscide che spazzava il pavimento. 


Il convegno lo chiude il professor M. che giudica le esperienze raccontate fino a quel momento esercizi di cittadinanza, in cui i bambini e i giovani, grazie ai teatranti, fanno esperienza politica. I bambini non subiscono un’estetica, ma la producono insieme agli adulti, la discutono e volendo, possono metterla in pratica. Avere coraggio nel Teatro Ragazzi, dice M., significa dare autonomia al proprio pubblico, renderlo capace di dire con parole proprie quello che ha visto, farlo diventare competente.  Il Teatro Ragazzi deve essere il luogo della trasgressione e se vuole preparare il proprio futuro, deve costruire le giuste alleanze ed essere il luogo in cui sia possibile dissentire contro la ricerca di consenso e l’acquiescenza che lo sta distruggendo, oggi.  Hannah Arendt diceva che l’essere umano nasce due volte: la prima quando viene al mondo, la seconda quando impara il linguaggio.  Può il Teatro ragazzi rinascere, sapendo di possedere le competenze per trasgredire? Può il Teatro Ragazzi ricostruire una morale autonoma, in cui la trasgressione colta sia al centro del suo agire?  Questo è il vero obiettivo del Teatro ragazzi. Se ha ottenuto solo ottimi risultati sui valori ministeriali allora ha fallito! 


A questo punto l’intervento di M., che in realtà era il professor Dallari e parlava di Pedagogia e di valori Ocse-Pisa, mi ha riportato alla realtà, giusto il tempo di vedere un elefante uscire dalla stanza. E allora ho pensato al coraggio che ci vuole, per quelle insegnanti, a essere là, in un teatro, per parlare di educazione senza che nessuno glielo chieda; al coraggio della nuova Assiteji, che a dispetto delle mancate quote rose parlamentari è tutta femminile e vuole ridisegnare una nuova funzione e un nuovo ruolo per l’Associazione; penso al coraggio dei ragazzi africani che ho visto aggirarsi per il teatro e che lavorano nelle bidonville di Cape Town e alla stessa Baracca, che a dispetto dei tempi continua a far crescere questo Festival nel segno dell’Infanzia, dell’Arte e dell’incontro. Davvero un bel coraggio di questi tempi!  







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